martedì 29 maggio 2007

La Russia antigay

Quello che è accaduto al mancato Gay Pride di Mosca è vergognoso, volendo usare parole moderate.
In una terra dove la democrazia e i diritti civili vengono sempre più tranquillamente cancellati (pensare alla Cecenia, alla polizia violenta, ai giornalisti uccisi, tanto per averne un’idea), è andato in scena un nuovo atto di violenza e abusi nei confronti dei cittadini, che quando sono minoranza devono ancora di più subire senza fiatare.
Funziona così, vediamo se ho capito bene: nella Russia di Putin si organizza una manifestazione per i diritti dei gay, e accade che le forze di polizia lascino tranquillamente lanciare uova e malmenare i pacifici manifestanti – tra cui parlamentari ed europarlamentari – e arrestino quelli che hanno subito violenze, tra cui tre attivisti russi incriminati per resistenza a pubblico ufficiale che rischiano fino a 15 giorni di carcere.
Il video è davvero shockante (al cazzotto in faccia sono quasi saltato dalla sedia), così come lo è la colpevole complicità degli agenti russi, che palesemente hanno lasciato via libera ai giovani nazionalisti e ortodossi colpevoli delle violenze ai danni dei manifestanti.
Tra gli italiani, c’erano anche Marco Cappato, Vladimir Luxuria e Ottavio Marzocchi: da notare nel filmato come il primo cerchi di fare tutto il possibile per attirare l’attenzione delle forze di polizia, chiamando a gran voce: “Where is the police? Why are not you protecting us?” e ne riceva, in cambio, l’arresto.
Ora, a tre giorni dall’episodio, pare che qualcosa si stia muovendo, che la Russia sia sotto accusa dopo questa repressione. D’Alema condanna, Bertinotti pure, in Europa si indignano.
Ma, oltre a condannare questo episodio orribile, credo si debba anche riflettere sulla situazione dei diritti delle minoranze in un mondo lontano dal nostro come è ancora quello russo, e su quanto l’Europa tutta abbia seriamente intenzione di porre un freno agli atti antidemocratici di Putin o intenda, come spesso ha fatto finora, ammonire a parole e nei fatti non fare nulla per cercare di cambiare lo stato delle cose.


(Corriere)

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