martedì 2 gennaio 2007

Il cielo sopra Berlino, di Wim Wenders



Il primo film che ho visto – rivisto, per l’ennesima volta – nel 2007 è stato “Il cielo sopra Berlino”.
Per l’ennesima volta mi sono perso nelle magiche immagini di quella Berlino divisa dal muro,  ma unita dagli angeli e dal cielo di cui si fanno portavoce.
Una città carica di storia, sospesa tra un passato doloroso e orribile, ed un futuro che di lì a poco sarebbe stato riscritto, ma che restava ancora un’incognita, sotto il perso dei mattoni di quel Muro che tagliava in due il suo corpo ancora sofferente.
Solo il cielo riesce a tenere ancora unite le due anime di Berlino.
E Wenders, cantore di storie comuni e osservatore curioso della realtà umana, segue quegli angeli che seguono gli uomini nella loro quotidianità, appoggiati alla Siegessäule o ad un concerto di Nick Cave, sul luogo di un incidente o in una biblioteca nell’ora di punta.
Il regista si perde per le strade della città: riprende gesti, dettagli, ma anche spazi immensi, palazzi, monumenti. Ci regala toccanti immagini di repertorio, un doloroso viaggio nella memoria.
Si sofferma su particolari estremamente necessari, ci fa ascoltare, attraverso le orecchie dei due angeli (Damiel – Bruno Ganz e Cassiel – Otto Sander), i pensieri di un’umanità varia e disorientata. Ma non riescono a comprenderla a pieno, perché non possono viverla sulla propria pelle.
Tutto questo mentre il cantore Omero si aggira tra i mille volumi della biblioteca, ricordando gli orrori della guerra, e Peter Falk interpreta se stesso, ma al termine della pellicola si rivela altro.
Gli angeli proteggono gli uomini, annotano su dei taccuini i loro pensieri, ma capita anche che possano innamorarsi. E così, Damiel, per amore della bella trapezista Marion – Solveig Dommartin – sceglie di diventare uomo e carne.
Il tempo guarirà tutto. Ma che succede se il tempo stesso è una malattia?”, si chiede la donna, bloccata dalle mille preoccupazioni di una vita difficile da affrontare. Il circo sta per chiudere i batternti ed il suo cuore, inoltre, sembra essersi fermato da tempo, come un orologio rotto che stenta a ripartire.
Ma non per sempre, fortunatamente, come testimoniato dal meraviglioso, interminabile dialogo finale con Damiel, con i Bad Seed di Cave che risuonano in lontananza.
Finalmente insieme, i due potranno amarsi e Marion, come un vero angelo, potrà  di nuovo volteggiare appesa ad una fune - come in passato – in quell’incomprensibile circo che è la vita, stavolta guidata e protetta dal suo angelo Damiel, fattosi uomo.

Wenders, in questo che è puro cinema di poesia, ci parla di sofferenze, amori, solitudini e amicizie, con la solita mano delicata e la giusta dose di lirismo.
Il bianco e nero – quando gli angeli osservano il mondo – affascina, il colore della realtà attraverso gli occhi degli uomini risplende e abbaglia.
Ogni immagine imprigionata da Wenders sulla pellicola, tocca le corde dell’animo come pochi altri film sono in grado di fare.
Film intenso ed emozionante, girato dal regista tedesco tra il 1986 e l’87, dopo un periodo di cinema “americano” – 4 film, per lui, girati negli Stati Uniti fino al 1984 – questo Cielo risplende ogni volta che lo si rivede, di una luce viva e abbagliante.
Non solo immagini sublimi, ma anche un continuo mescolarsi di sensazioni ed emozioni.
E, soprattutto, una storia. Una storia fatta di frammenti di storie: semplice e essenziale, antica e moderna, una storia che riesce a catturarti col suo essere tutto e niente, e dove il cielo, quello splendido cielo sopra Berlino diventa il trait d’union tra gli affascinanti dialoghi dei protagonisti – nati dalla penna di Peter Handke: pesanti come macigni, ed incredibilmente poetici  – e le immagini della Berlino degli anni Ottanta che quasi stenti a riconoscere.
Est e Ovest, Occidente e Comunismo. In mezzo, il muro, così carico e pregno di significati.
Ha scritto lo stesso regista, per spiegare la particolare atmosfera della città: "Berlino è divisa come il nostro mondo, è scissa come il nostro tempo, è separata come lo sono uomini e donne,giovani e anziani, poveri e ricchi, è frantumata come ciascuna nostra esperienza. [...] La mia storia parla di Berlino non perché sia ambientata qui, ma semplicemente perché non potrebbe essere ambientata in nessun altrove. Il film si intitolerà: IL CIELO SOPRA BERLINO, essendo il cielo, oltre al passato ovviamente, l'unico elemento comune alle due città contenute in questa città. Quasi a dire: 'Solo il cielo sa...' se ci sarà un futuro comune a entrambe."
Il Cielo sopra Berlino è un film necessario come pochi altri.
E Wim Wenders un poeta.

2 commenti:

  1. Che bella recensione.... bella come è bello il film di cui parli (e a quelle vette Wenders non c'è arrivato più, nemmeno con "così lontano così vicino").
    Mi hai fatto venire voglia di rivederlo.

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  2. quando cinema e poesia vanno a braccetto...a tratti un poco troppo prolisso, il film di Wenders.

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