martedì 14 febbraio 2006

Lo stagista

Alle volte è splendido non avere tempo. Giornate piene di impegni, di studio, di appuntamenti, di servizi, di progetti da realizzare, che quando cala il sole, torni a casa e senti che nel tuo piccolo hai fatto grandi cose. Alle volte mi è capitato. Senza forze, con la testa sul punto di scoppiare ma, stranamente, andavo a dormire felice di me stesso e pienamente soddisfatto.
Ora, è ormai da 8 giorni che la mia vita ed il mio tempo sono stati quasi completamente monopolizzati da un impegno importante, quasi un lavoro. Chiamiamolo con il suo reale nome, che è meglio: uno stage. Che non è un lavoro a tutti gli effetti - soldi se ne vedranno pochi e chissà quando -, ma non è nemmeno un passatempo. Infatti, da quando è iniziato, non ho un secondo libero per fare altro.
Ma, a differenza di altre volte, quando torno a casa non sono per niente soddisfatto di quello che ho fatto.

Mi spiego meglio. Il mio dovrebbe essere uno stage presso un'emittente televisiva all'interno della redazione giornalistica. Il mio ruolo dovrebbe essere quello dell'aspirante giornalista, dunque, ma tutto ciò che faccio lì è totalmente contrario alla mia idea della professione giornalistica. Per ora l'ho vissuto soltanto dall'esterno, ma credo di essermene fatto già un'idea abbastanza precisa. Forse fin troppo severa, ma al momento non è ancora accaduto qualcosa che mi faccia ricredere.
Innanzitutto non ho trovato professionalità, organizzazione, serietà. Tutto è improvvisato o, quanto meno, realizzato in maniera frettolosa. Manca analisi critica dei problemi trattati, precisione, accuratezza, ed il mezzo televisivo viene quasi sempre utilizzato o come pulpito dai politicanti o come megafono per far strillare i cittadini insoddisfatti. Fare interviste significa porre interrogativi banali che hanno ogni volta risposte scontate.
Questo è quello che ho potuto ammirare nella mia prima settimana lì, e sono davvero rammaricato. Forse immaginavo la tv come un qualcosa di diverso, ma evidentemente mi sbagliavo di grosso.

Dal punto di vista degli orari, poi, la situazione non è certo migliore. Anche se ho dei turni - mattina o pomeriggio - quasi mai vengono rispettati: gli orari si accavallano, ed il risultato finale è che quasi ogni giorno mi alzo presto la mattina, giusto il tempo di fare colazione e già sono in strada. Mi passa a prendere un amico, con il quale percorro in auto i 30 e passa chilometri che ci separano dalla sede della tv presso la quale sono stagista. Dovrei stare lì mezza giornata, alla fine non sono mai a casa prima delle 17. Ovvero, torno distrutto e ho soltanto voglia di vegetare sul divano, pensando e ripensando all'effettiva utilità di questo mio ruolo di stagista. Ne vale la pena?
Pensandoci bene, però, che brutta parola: stagista. Un significato a metà tra sfruttato e persona inutile, obbligato a dover svolgere quasi sempre i compiti ingrati che altri non hanno intenzione di fare, costretto perennemente a lottare per avere un minimo di visibilità all'interno di un ambiente che non è per nulla tutto rose e fiori.
Dopo queste riflessioni, sono sempre meno convinto di quello che sto facendo. Cosa fare? Come comportarmi? I dubbi aumentano, e sinceramente non so proprio come reagire.
Forse, come si dice in questi casi, la notte mi porterà consiglio. Almeno lo spero.

1 commento:

  1. Anche io, come te, ho sempre pensato che intraprendere il lavoro come giornalista in televisione fosse meraviglioso.
    Mi sono sempre immaginata il mondo giornalistico pieno di analisi e progetti accurati. Un pò come nei film.
    Eppure è una cosa che si sa, almeno questo vale per la televisione, che viene quasi tutto dato per scontato, non si fanno le cose seriamente e si ripetono giorno dopo giorno gli stessi "scoop" che sono pettegolezzi o informazioni falsarie che usa la società mondiale per manipolarci.
    Meglio mettersi in proprio... ma certe volte se sei troppo "grande" ed efficace di parola, quelli in qualche modo riescono a buttarti fuori.

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