Fiumi di persone, sbadigli.
Fumo che esce dalle bocche, tra una risata nervosa e un caffé che per l'occasione costa un euro. Come vacche stipate in una vecchia stalla, come gruppi di turisti di ritorno dal mare a Ferragosto, ci ammassiamo formando una lunga fila scomposta, una massa amorfa che arriva quasi al bordo del marciapiede.
Uno stato di semicongelamento, mal di testa.
L’identificazione attesta che sei proprio tu. Poi ti accomodi.
Amicizia col vicino di posto, uno sbuffo dopo l’altro. Poi il palazzetto si riempie quasi completamente ma tutti iniziano a smadonnare, qualcuno urla che tutto è truccato. Isterismi vari.
Ritardo. Ancora ritardo. Uno con la testa lucida dice che tra un po’ iniziamo.
Fa freddo, e il tipo che è convinto sia tutto un imbroglio grida che manderà “Striscia la notizia”.
Io inizio a volermene andare, fa sempre più freddo.
Inizio a pensare che è stato una perdita di tempo. Tutto: levataccia mattutina, colazione al buio, corsa per arrivare in tempo e principio di assideramento in coda.
I posti tanto già sono assegnati, quello che viene da Bari ha solo perso tempo, anche quelli che vanno per i cinquanta e sono convinti di essere superpreparati.
Cazzo se fa freddo al Paladozza. Chissà se riuscirò a tornare in tempo a casa, chissà se almeno tu ce la farai, qui manca una firma, ma la carta d’identità l’ho presa dal banco?
Di matematica e scienze non capisco nulla, perché poi hanno messo biologia? Le domande di italiano le so tutte, ma non so proprio che significhi corrusco. Lascio bianco.
Vorrei chiudere gli occhi e svegliarmi su una spiaggia dei Caraibi, invece li riapro e quello accanto a me borbotta qualcosa mentre gli cola il naso.
In questa gelida mattina di inverno siamo in quasi tremila a provare per un posto mediocre in un ministero mediocre che ci darà uno stipendio fisso ma mediocre. Mi sento un po’ triste, un po’ spaesato, ripenso al caffé pagato un euro e alla pioggia sottile che mi aspetta fuori.
Sbadiglio, perso nei miei pensieri come in una bolla di sapone gigante.
Fumo che esce dalle bocche, tra una risata nervosa e un caffé che per l'occasione costa un euro. Come vacche stipate in una vecchia stalla, come gruppi di turisti di ritorno dal mare a Ferragosto, ci ammassiamo formando una lunga fila scomposta, una massa amorfa che arriva quasi al bordo del marciapiede.
Uno stato di semicongelamento, mal di testa.
L’identificazione attesta che sei proprio tu. Poi ti accomodi.
Amicizia col vicino di posto, uno sbuffo dopo l’altro. Poi il palazzetto si riempie quasi completamente ma tutti iniziano a smadonnare, qualcuno urla che tutto è truccato. Isterismi vari.
Ritardo. Ancora ritardo. Uno con la testa lucida dice che tra un po’ iniziamo.
Fa freddo, e il tipo che è convinto sia tutto un imbroglio grida che manderà “Striscia la notizia”.
Io inizio a volermene andare, fa sempre più freddo.
Inizio a pensare che è stato una perdita di tempo. Tutto: levataccia mattutina, colazione al buio, corsa per arrivare in tempo e principio di assideramento in coda.
I posti tanto già sono assegnati, quello che viene da Bari ha solo perso tempo, anche quelli che vanno per i cinquanta e sono convinti di essere superpreparati.
Cazzo se fa freddo al Paladozza. Chissà se riuscirò a tornare in tempo a casa, chissà se almeno tu ce la farai, qui manca una firma, ma la carta d’identità l’ho presa dal banco?
Di matematica e scienze non capisco nulla, perché poi hanno messo biologia? Le domande di italiano le so tutte, ma non so proprio che significhi corrusco. Lascio bianco.
Vorrei chiudere gli occhi e svegliarmi su una spiaggia dei Caraibi, invece li riapro e quello accanto a me borbotta qualcosa mentre gli cola il naso.
In questa gelida mattina di inverno siamo in quasi tremila a provare per un posto mediocre in un ministero mediocre che ci darà uno stipendio fisso ma mediocre. Mi sento un po’ triste, un po’ spaesato, ripenso al caffé pagato un euro e alla pioggia sottile che mi aspetta fuori.
Sbadiglio, perso nei miei pensieri come in una bolla di sapone gigante.
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