Non l’avevo nemmeno scritto che stavo per partire, ma almeno ora scrivo che sono tornato. Da Praga, dopo un week end davvero indimenticabile. Con lei, ma non ho purtroppo link a nessun blog. Lei, comunque. E il nostro primo viaggio insieme.
Praga, terra magica diceva qualcuno, terra che una volta vista non t’abbandona più, avevo letto su una guida.
Ma soprattutto, città che se non vedi e non vivi sul serio, sulla tua pelle, non sei in grado di descrivere. Solo camminando per le sue strade ad occhi socchiusi, attraversando i suoi ponti, ammirando i suoi palazzi con le guance punzecchiate dal freddo mattutino è possibile assaporare la vera essenza di questa città.
In questa capitale si mescolano Franz Kafka ed Alfons Mucha, il freddo secco delle strade ed il calore dei locali, la potenza delle guglie gotiche che vanno a sfiorare il cielo e i gradevoli eccessi dei palazzi art nouveau.
Con la Moldava, fredda, lenta e silenziosa, che taglia in due la città: da una parte il Castello, Hradcany, Mala Strana e la tranquillità delle strade e degli spazi verdi al di là del fiume, dall’altra il caos turistico della Città Vecchia, di Piazza Venceslao, di Nove Mesto e della zona circostante.
Impossibile raccontare di tutte le cose viste, di tutte le emozioni provate. Splendide e indimenticabili, soprattutto se paragonate allo squallore dei gruppi di maschietti napoletani in giro per la città e all’aeroporto non certo per turismo culturale.
E così ecco il viaggio che non ti aspetti: con il freddo secco che ci ha accolto all’arrivo, e la nebbia fitta e misteriosa che ci ha salutati, alla partenza. E quei ponti che attraversano uno dopo l’altro il fiume, misteriosi e incantati. Quando passi sul principale, il Ponte Carlo, non puoi che restare senza fiato. Contare le statue, farti trasportare dalla massa di turisti, e sognare.
Il Castello più grande d’Europa, che dall’alto domina la città e i mosaici di una Chiesa – San Vito – che mi segneranno per sempre.
Così come non potrò mai dimenticare le lapidi ammassate l’una sull’altra nel cimitero del ghetto ebraico, conficcate nella terra quasi come fossero stalagmiti informi. Più di 1200, in poche centinaia di metri quadrati.
Una città dalle mille emozioni contrastanti, Praga: romantica, emozionante, misteriosa ed eterna. La città dai nasi all’insù, la chiamano, ed è vero. Anche se io spesso ce l’avevo all’ingiù, spulciando la guida. Nella mia mano destra la tua, e quando alzavo la testa le vedevo, quelle splendide costruzioni gotiche, romaniche, o ancora cubiste sebbene non abbia ancora capito bene quali fossero. Le torri e gli affreschi, le buffe decorazioni rococò, o la pietra nera della fortezza di Vysherad. E le luci di notte sul fiume, migliaia di stelle artificiali a pochi metri da terra.
Ma mette un po’ di malnconia vedere quanti Mc Donald, quanti negozi superoccidentali e discoteche accalappia-allupati affollino il centro. Addirittura il Museo del comunismo, che si trova tra un Big Mac ed un Casinò. E quella piazza Venceslao inghiottita da mega insegne e accecanti scritte al neon, che la sera verso le otto già trasformano la città nella capitale degli eccessi. Tristezza.
Tristezza che viene subito spazzata via dalla magia di un paesaggio che cambia di distretto in distretto, continuamente, riuscendo comunque ad amalgamare con eleganza l’insieme. Tristezza che si trasforma in divertimento quando ad ogni ora suona l’orologio nella piazza della Città Vecchia, con gli apostoli, lo scheletro, il turco e la strombettata finale. O quando ti trovi di fronte la forma femminile e sinuosa della casa danzante.
Il divertimento, infine, si trasforma in stupore quando ti rendi conto che tutti parlano correttamente l’inglese, e lo parlano bene. Tutti sono gentili e disponibili. Le metro e i tram funzionano una meraviglia, e non resti più di 3 minuti ad aspettarli alla fermata.
Solo la moneta, cavolo, che non capisci mai a quanto corrisponda, con un cambio oscillante ed i cechi che ci speculano sopra col sorriso sulle labbra.
Ma manco ci fai caso, tre giorni sono pochi e dopo un battito di ciglia già ti ritrovi a pagare il tassista che ti ha riaccompagnato all’aeroporto. E mentre trascini le valigie, ti guardi indietro per l’ultima volta: e sai già che questa città la porterai dentro di te, per sempre.