domenica 30 settembre 2007

Scivola, scivola vai via.

Nastro rosso, arancio, color zafferano: polemiche inutili.
La cosa più importante sulla tragedia e la dittatura militare birmana, è che se ne parli.
E la cosa che intristisce di più, già oggi, è vederla scendere sempre più in basso nelle homepage dei siti d'informazione nazionale, e di conseguenza scivolare sempre più indietro domani, sulle pagine dei quotidiani.

Scivola, scivola vai via.

Nastro rosso, arancio, color zafferano: polemiche inutili.
La cosa più importante sulla tragedia e la dittatura militare birmana, è che se ne parli.
E la cosa che intristisce di più, già oggi, è vederla scendere sempre più in basso nelle homepage dei siti d'informazione nazionale, e di conseguenza scivolare sempre più indietro domani, sulle pagine dei quotidiani.

Modelli a confronto

Quando la prossima volta l'immondizia ci sommergerà, i cassonetti bruceranno e sembrerà di essere in qualche villaggio del terzo mondo, non disperiamo: un'occhiata al blog "Modello Veltroni", ci farà tornare il buonumore.

(Modello Veltroni, via Brodo Primordiale)

Modelli a confronto

Quando la prossima volta l'immondizia ci sommergerà, i cassonetti bruceranno e sembrerà di essere in qualche villaggio del terzo mondo, non disperiamo: un'occhiata al blog "Modello Veltroni", ci farà tornare il buonumore.

(Modello Veltroni, via Brodo Primordiale)

giovedì 27 settembre 2007

Contro il regime birmano

Domani io indosserò una maglietta rossa.
Solitamente sono contro questo genere di cose, ma domani la indosserò.

(la Repubblica)

Contro il regime birmano

Domani io indosserò una maglietta rossa.
Solitamente sono contro questo genere di cose, ma domani la indosserò.

(la Repubblica)

No, Nolita

Non volevo crederci, e invece è vero. Oliviero Toscani, come sempre tra i pubblicitari più provocatori e shockanti, ne ha fatta un’altra delle sue. Graffiante come sempre, eccessivo come pochi, ha lanciato una nuova campagna, per il marchio Nolita e con due foto che lasciano senza parole.
Fa discutere. Come sempre fa discutere.
Per fare una pubblicità come questa, senza dubbio, ci vogliono gli attributi. E’ normale vedersi piovere addosso una valanga di critiche, oppure che il pubblico si divida nettamente tra i pro e i contro.
Qui non abbiamo ancora preso una decisione definitiva. L’immagine è di quelle che non dimentichi più. Che non riesci a guardare fisso, giri la testa dall’altro lato, quasi disgustato.


Serve? Non serve? La modella ritratta, Isabelle Caro, pesa sì e no 30 chili, ed è un mucchietto di pelle e ossa che cammina. A me l’immagine sconvolge, ma non è detto che per le anoressiche quello sia un modello da imitare. Quello delle anoressiche è un problema psichico, che va al di là dell’osservare la devastazione della malattia con i propri occhi.
Allora, direte, la provocazione di Toscani serve per far parlare dell’anoressia. Ed è buono che se ne discuta, facendo vedere queste immagini crude. Ma in realtà questo messaggio che è come un pugno nello stomaco, e se stimola il dibattito nell’opinione pubblica, in realtà aiuta poco, pochissimo chi soffre di questa malattia, che va curata in altro modo e, forse, non spiattellata sui 6 X 3 di tutt’Italia.
Non so, vedo quello scheletro in foto, e rabbrividisco. Le anoressiche, forse, la vorranno imitare.
Poi, il messaggio contro l’anoressia proviene da Nolita, azienda di abbigliamento che proprio di modelle magre, spesso, ha bisogno. E che ora, grazie alla pubblicità, sta facendo molto, ma moooolto parlare di sé.
Di certo è che Toscani con le sue campagne, alle volte esagera. E’ un suo marchio di fabbrica, che va quasi al di là del messaggio pubblicitario lanciato. Quasi come una pubblicità a se stesso, alla sua voglia di stupire a tutti i costi, quel bisogno di essere eccessivo fino ad arrivare a mostrarci in tutto il suo orrore la vera faccia dell’anoressia.
Forse, se fosse stata una pubblicità progresso, svincolata da aziende, avrei storto il naso, ma accettato. Che si parli, sì, è un bene che si parli di malattie come questa (e l’aids, che fine ha fatto l’aids? L’agenda setting delle malattie…), anche in questo modo eccessivo. Ma qua stiamo parlando di una ragazza di 30 chili che mette in mostra il suo corpo morente, per mano di un fotografo dal grande ego, e per un’azienda che si serve – in parte – di modelle magrissime per i propri abiti.
Qualche riga su dicevo che non m’ero ancora deciso. Ora sì, riflettendoci. Checché ne dica la Turco, io questa pubblicità non la approvo.


(Nolita)

No, Nolita

Non volevo crederci, e invece è vero. Oliviero Toscani, come sempre tra i pubblicitari più provocatori e shockanti, ne ha fatta un’altra delle sue. Graffiante come sempre, eccessivo come pochi, ha lanciato una nuova campagna, per il marchio Nolita e con due foto che lasciano senza parole.
Fa discutere. Come sempre fa discutere.
Per fare una pubblicità come questa, senza dubbio, ci vogliono gli attributi. E’ normale vedersi piovere addosso una valanga di critiche, oppure che il pubblico si divida nettamente tra i pro e i contro.
Qui non abbiamo ancora preso una decisione definitiva. L’immagine è di quelle che non dimentichi più. Che non riesci a guardare fisso, giri la testa dall’altro lato, quasi disgustato.


Serve? Non serve? La modella ritratta, Isabelle Caro, pesa sì e no 30 chili, ed è un mucchietto di pelle e ossa che cammina. A me l’immagine sconvolge, ma non è detto che per le anoressiche quello sia un modello da imitare. Quello delle anoressiche è un problema psichico, che va al di là dell’osservare la devastazione della malattia con i propri occhi.
Allora, direte, la provocazione di Toscani serve per far parlare dell’anoressia. Ed è buono che se ne discuta, facendo vedere queste immagini crude. Ma in realtà questo messaggio che è come un pugno nello stomaco, e se stimola il dibattito nell’opinione pubblica, in realtà aiuta poco, pochissimo chi soffre di questa malattia, che va curata in altro modo e, forse, non spiattellata sui 6 X 3 di tutt’Italia.
Non so, vedo quello scheletro in foto, e rabbrividisco. Le anoressiche, forse, la vorranno imitare.
Poi, il messaggio contro l’anoressia proviene da Nolita, azienda di abbigliamento che proprio di modelle magre, spesso, ha bisogno. E che ora, grazie alla pubblicità, sta facendo molto, ma moooolto parlare di sé.
Di certo è che Toscani con le sue campagne, alle volte esagera. E’ un suo marchio di fabbrica, che va quasi al di là del messaggio pubblicitario lanciato. Quasi come una pubblicità a se stesso, alla sua voglia di stupire a tutti i costi, quel bisogno di essere eccessivo fino ad arrivare a mostrarci in tutto il suo orrore la vera faccia dell’anoressia.
Forse, se fosse stata una pubblicità progresso, svincolata da aziende, avrei storto il naso, ma accettato. Che si parli, sì, è un bene che si parli di malattie come questa (e l’aids, che fine ha fatto l’aids? L’agenda setting delle malattie…), anche in questo modo eccessivo. Ma qua stiamo parlando di una ragazza di 30 chili che mette in mostra il suo corpo morente, per mano di un fotografo dal grande ego, e per un’azienda che si serve – in parte – di modelle magrissime per i propri abiti.
Qualche riga su dicevo che non m’ero ancora deciso. Ora sì, riflettendoci. Checché ne dica la Turco, io questa pubblicità non la approvo.


(Nolita)

lunedì 24 settembre 2007

Salviamo sto paese

Da youtube: "Salviamo 'sto paese", canta l'indimenticabile Giorgio Gaber.
Il testo, nonostante sia del 1978, è di un'attualità imbarazzante. Le immagini, sono lì a testimoniarlo.
Riusciremo a salvarlo? Se sì, come?

(Youtube)

Salviamo sto paese

Da youtube: "Salviamo 'sto paese", canta l'indimenticabile Giorgio Gaber.
Il testo, nonostante sia del 1978, è di un'attualità imbarazzante. Le immagini, sono lì a testimoniarlo.
Riusciremo a salvarlo? Se sì, come?

(Youtube)

venerdì 21 settembre 2007

Inedito di De André

Cosa darei per averlo.
Collezionista pugliese, tu collezioni roba dei Dire Straits e Mark Knopfler.
Quanto vuoi, per il disco di Faber in inglese? 50 euro vanno bene?


(la Repubblica)

Inedito di De André

Cosa darei per averlo.
Collezionista pugliese, tu collezioni roba dei Dire Straits e Mark Knopfler.
Quanto vuoi, per il disco di Faber in inglese? 50 euro vanno bene?


(la Repubblica)

mercoledì 19 settembre 2007

Multisala, no grazie

C’è qualcosa di affascinante e allo stesso tempo tremendamente inquietante nei maxicinema. La gente a fiumi, l’immensa varietà di film da scegliere – mai quello che vuoi vedere, però – luci e lucine varie, super-mega-bancone per il pop-corn e pinzillacchere varie.
E poi le sale, così tante che quasi ti ci perdi. E che sono capaci di attirare a sé il peggio del peggio del peggio della gioventù napoletana. Mi guardo intorno e non mi ci raccapezzo più, tra i cartelloni delle anteprime, le grida isteriche dei bambini e gli ultimi posti della sala 3, che stan per finire.
Un film ogni ora, anzi mezz’ora. Lo stesso film proiettato 15 volte al giorno. Un bambino mi sgranocchia un nachos nell’orecchio - o tacos, manco mi ricordo -  e quasi mi stordisce. Io ero convinto ci fosse anche La ragazza del lago, ma sicuramente mi ero sbagliato. Mi sono sbagliato. Ma intanto è troppo tardi.
Dio, quanto sono brutti i multisala. Brutti e anonimi. Brutti, anonimi, e pieni di gente. Gente in fila inebetita che, già lo so, non farà altro che parlare e sghignazzare per tutta la durata del film. Altre coppie, ormai alla fine del rapporto, fissano uno schermo senza avere più niente da dirsi. Qualche supercafone grida al cellulare, qualcuno ha il pantalone arancione o rosso, mi chiedo come facciano ad andare in giro conciati così.
Mi ritrovo in questo non luogo un po’ per caso e non so bene come comportarmi. Troppa gente, troppo vociare. Ho paura di mettermi in fila, quasi quasi non lo faccio. Rimpiango il cinemino da 50 posti in piazza, c’andavo quando ero piccolo. O quell’altro ad un paio di chilometri, schiacciato dalla mole architettonica dell’ennesimo maxicinema di turno, per di più del biscione.
Ma forse la gente non può farne a meno, di questi multisala. Del posto numerato che nessuno rispetta mai e del Dolby Surround che ti spacca i timpani. Forse adorano l’aria condizionata, o il fatto che in 3-4 sale ci sia lo stesso film contemporaneamente. Amano la mezz’ora di pubblicità prima della proiezione, ne sono sicuro.
Forse nelle periferie desolate della città, simili non-luoghi aiutano. Danno una parvenza di aggregazione, distraggono dalla mediocrità circostante.
Ma io, quando posso, li evito. Come stasera, che invece di strozzare qualche cafone molesto in sala, sono andato a mangiare un panino.

Multisala, no grazie

C’è qualcosa di affascinante e allo stesso tempo tremendamente inquietante nei maxicinema. La gente a fiumi, l’immensa varietà di film da scegliere – mai quello che vuoi vedere, però – luci e lucine varie, super-mega-bancone per il pop-corn e pinzillacchere varie.
E poi le sale, così tante che quasi ti ci perdi. E che sono capaci di attirare a sé il peggio del peggio del peggio della gioventù napoletana. Mi guardo intorno e non mi ci raccapezzo più, tra i cartelloni delle anteprime, le grida isteriche dei bambini e gli ultimi posti della sala 3, che stan per finire.
Un film ogni ora, anzi mezz’ora. Lo stesso film proiettato 15 volte al giorno. Un bambino mi sgranocchia un nachos nell’orecchio - o tacos, manco mi ricordo -  e quasi mi stordisce. Io ero convinto ci fosse anche La ragazza del lago, ma sicuramente mi ero sbagliato. Mi sono sbagliato. Ma intanto è troppo tardi.
Dio, quanto sono brutti i multisala. Brutti e anonimi. Brutti, anonimi, e pieni di gente. Gente in fila inebetita che, già lo so, non farà altro che parlare e sghignazzare per tutta la durata del film. Altre coppie, ormai alla fine del rapporto, fissano uno schermo senza avere più niente da dirsi. Qualche supercafone grida al cellulare, qualcuno ha il pantalone arancione o rosso, mi chiedo come facciano ad andare in giro conciati così.
Mi ritrovo in questo non luogo un po’ per caso e non so bene come comportarmi. Troppa gente, troppo vociare. Ho paura di mettermi in fila, quasi quasi non lo faccio. Rimpiango il cinemino da 50 posti in piazza, c’andavo quando ero piccolo. O quell’altro ad un paio di chilometri, schiacciato dalla mole architettonica dell’ennesimo maxicinema di turno, per di più del biscione.
Ma forse la gente non può farne a meno, di questi multisala. Del posto numerato che nessuno rispetta mai e del Dolby Surround che ti spacca i timpani. Forse adorano l’aria condizionata, o il fatto che in 3-4 sale ci sia lo stesso film contemporaneamente. Amano la mezz’ora di pubblicità prima della proiezione, ne sono sicuro.
Forse nelle periferie desolate della città, simili non-luoghi aiutano. Danno una parvenza di aggregazione, distraggono dalla mediocrità circostante.
Ma io, quando posso, li evito. Come stasera, che invece di strozzare qualche cafone molesto in sala, sono andato a mangiare un panino.

martedì 18 settembre 2007

Democrazia in America

Democrazia in America

Schiaffo alla miseria

La regina Elisabetta d'Inghilterra ha vinto un bagnoschiuma e due saponette ad una riffa di un college.

(Adnkronos)

Schiaffo alla miseria

La regina Elisabetta d'Inghilterra ha vinto un bagnoschiuma e due saponette ad una riffa di un college.

(Adnkronos)

Troppa Beth Ditto

Si fa un gran parlare di Beth Ditto, ultimamente. Beth Ditto di qua, Beth Ditto di là.
Beth Ditto è icona rock, Beth Ditto è icona gay, Beth Ditto appare nuda su NME, Beth Ditto fa tendenza e con i The Gossip è il futuro della musica.
Tutti l'adorano, tutti parlano di lei. Danilo scherza un po' sull'offerta musicale correlata alla sua immagine, e mica ha tutti i torti.
Andando più in profondità, però, penso ad una cosa.
A parte i suoi 95 chili, qualcuno dei giornalisti che ha scritto di lei avrà ascoltato almeno una delle sue canzoni con i Gossip, prima di consacrarla star planetaria?
No perché la voce è bella  possente, non ci sono dubbi, ma a parte questo i vari pezzi del gruppo sono davvero parecchio anonimi.
Niente di che, insomma, a parte la chiattona.
E quando si parla di cantanti e di musica, per me, non si può prescinedere dalla qualità di quest'ultima. O no?

(NME, Particellelementari)

Troppa Beth Ditto

Si fa un gran parlare di Beth Ditto, ultimamente. Beth Ditto di qua, Beth Ditto di là.
Beth Ditto è icona rock, Beth Ditto è icona gay, Beth Ditto appare nuda su NME, Beth Ditto fa tendenza e con i The Gossip è il futuro della musica.
Tutti l'adorano, tutti parlano di lei. Danilo scherza un po' sull'offerta musicale correlata alla sua immagine, e mica ha tutti i torti.
Andando più in profondità, però, penso ad una cosa.
A parte i suoi 95 chili, qualcuno dei giornalisti che ha scritto di lei avrà ascoltato almeno una delle sue canzoni con i Gossip, prima di consacrarla star planetaria?
No perché la voce è bella  possente, non ci sono dubbi, ma a parte questo i vari pezzi del gruppo sono davvero parecchio anonimi.
Niente di che, insomma, a parte la chiattona.
E quando si parla di cantanti e di musica, per me, non si può prescinedere dalla qualità di quest'ultima. O no?

(NME, Particellelementari)

domenica 16 settembre 2007

Anche i Led, quanti ritorni

I Led Zeppelin si riuniscono e suoneranno insieme alla 02 Arena di Londra dopo un bel po' di annetti.
Sperando che il loro ritorno non sia simile a quello di Britney Spears, però.

(Kataweb Musica)

Anche i Led, quanti ritorni

I Led Zeppelin si riuniscono e suoneranno insieme alla 02 Arena di Londra dopo un bel po' di annetti.
Sperando che il loro ritorno non sia simile a quello di Britney Spears, però.

(Kataweb Musica)

Le dieci candeline di Google



Era il 2001. Mi ricordo che sei stato il primo sito visitato quando ho avuto la linea a 56k. Ho ciccato su connetti, c’è stato quel rumore micidiale e per la prima volta in rete, ho scelto te. Ti tenevo segnato su un foglietto: “GOOGLE”, e non sapevo manco come leggerti. Non sapevo cosa fosse un motore di ricerca, a che servisse, che scopo avesse il web e che senso navigare.
Tanta acqua è passata sotto i ponti, da allora, e tu sei senza ombra di dubbio il sito web più importante e cliccato della rete.
E compi dieci anni, proprio oggi.
Buon compleanno, Google.

Le dieci candeline di Google



Era il 2001. Mi ricordo che sei stato il primo sito visitato quando ho avuto la linea a 56k. Ho ciccato su connetti, c’è stato quel rumore micidiale e per la prima volta in rete, ho scelto te. Ti tenevo segnato su un foglietto: “GOOGLE”, e non sapevo manco come leggerti. Non sapevo cosa fosse un motore di ricerca, a che servisse, che scopo avesse il web e che senso navigare.
Tanta acqua è passata sotto i ponti, da allora, e tu sei senza ombra di dubbio il sito web più importante e cliccato della rete.
E compi dieci anni, proprio oggi.
Buon compleanno, Google.

giovedì 13 settembre 2007

Capo, 'na cosa a piacer...

Quasi mi vergogno a dirlo, ma io questo qui lo conoscevo. Era il parcheggiatore della mia ex università, persona nota a tutti nell'ambiente del Suor Orsola da anni e anni.  Sul quale esistono leggende metropolitane stupende, che non ho il tempo ora di raccontarvi.
Lo conoscevo, comunque. Sapevo il suo nome. Lo salutavo. Non gli ho mai dato una lira, e non è per mettere le mani avanti. Semplicemente, perché non ho mai avuto un motorino.
Lui i soldi li chiedeva a chi parcheggiava i motorini, ed erano pure parecchi. Sia i motorini che i soldi. Una volta con un amico abbiamo provato a fargli i conti in tasca. Due euro a motorino, fai per cento motorini al giorno...duecento euro quotidiane tonde tonde, esentasse. Tremila euro a fine mese.
Lo conoscevo, ci scambiavo due chiacchiere. Non era molesto, anzi. Era un estorsore, però. E lo era sia prima che dopo la dura battaglia contro i parcheggiatori abusivi, che si sta scatenando da un po' di tempo a questa parte in tutta Italia e che da queste parti portiamo avanti ormai da anni.
Insomma, il parcheggiatore che conoscevo è stato arrestato, perché disumano nei suoi atteggiamenti e camorrista nelle sue richieste. Benissimo, sono d'accordo.
Ma comunque, leggendo l'articolo mi chiedo: se non ci fosse stato questo deterrente, i soldi il ragazzo glieli avrebbe dati? Io dico di sì, senza problema. Ve l'assicuro.
E allora? Ottimo, l'idea di multare chi cede ai parcheggiatori funziona, direte. E invece a me questa cosa proprio non va giù. Chi dovrebbe tutelarmi dovrebbe impedirmi di incontrarlo, il parcheggiatore. Non minacciarmi di multarmi perché lo pago. E magari farmi rischiare prima il pestaggio. Ricordate, parla uno al quale i simpatici parcheggiatori hanno spezzato lo sterzo ben due volte, e che quando vede un posteggiatore abusivo inizia a bestemmiare in sanscrito.
Ma piuttosto che restare con la paura di una ruota bucata o di qualche altro "scherzetto", alle volte cedo. Da oggi, se dovessi cedere al ricatto rischierò di pagare anche una multa? Bel modo di tutelare la giustizia, in stile tipicamente napoletano.
Si colpisce la punta dell'iceberg perché non si riesce nemmeno lontanamente a scalfirne la base. Anche per qualche mese, magari. Ma per far tornare poi tutto come prima.

Capo, 'na cosa a piacer...

Quasi mi vergogno a dirlo, ma io questo qui lo conoscevo. Era il parcheggiatore della mia ex università, persona nota a tutti nell'ambiente del Suor Orsola da anni e anni.  Sul quale esistono leggende metropolitane stupende, che non ho il tempo ora di raccontarvi.
Lo conoscevo, comunque. Sapevo il suo nome. Lo salutavo. Non gli ho mai dato una lira, e non è per mettere le mani avanti. Semplicemente, perché non ho mai avuto un motorino.
Lui i soldi li chiedeva a chi parcheggiava i motorini, ed erano pure parecchi. Sia i motorini che i soldi. Una volta con un amico abbiamo provato a fargli i conti in tasca. Due euro a motorino, fai per cento motorini al giorno...duecento euro quotidiane tonde tonde, esentasse. Tremila euro a fine mese.
Lo conoscevo, ci scambiavo due chiacchiere. Non era molesto, anzi. Era un estorsore, però. E lo era sia prima che dopo la dura battaglia contro i parcheggiatori abusivi, che si sta scatenando da un po' di tempo a questa parte in tutta Italia e che da queste parti portiamo avanti ormai da anni.
Insomma, il parcheggiatore che conoscevo è stato arrestato, perché disumano nei suoi atteggiamenti e camorrista nelle sue richieste. Benissimo, sono d'accordo.
Ma comunque, leggendo l'articolo mi chiedo: se non ci fosse stato questo deterrente, i soldi il ragazzo glieli avrebbe dati? Io dico di sì, senza problema. Ve l'assicuro.
E allora? Ottimo, l'idea di multare chi cede ai parcheggiatori funziona, direte. E invece a me questa cosa proprio non va giù. Chi dovrebbe tutelarmi dovrebbe impedirmi di incontrarlo, il parcheggiatore. Non minacciarmi di multarmi perché lo pago. E magari farmi rischiare prima il pestaggio. Ricordate, parla uno al quale i simpatici parcheggiatori hanno spezzato lo sterzo ben due volte, e che quando vede un posteggiatore abusivo inizia a bestemmiare in sanscrito.
Ma piuttosto che restare con la paura di una ruota bucata o di qualche altro "scherzetto", alle volte cedo. Da oggi, se dovessi cedere al ricatto rischierò di pagare anche una multa? Bel modo di tutelare la giustizia, in stile tipicamente napoletano.
Si colpisce la punta dell'iceberg perché non si riesce nemmeno lontanamente a scalfirne la base. Anche per qualche mese, magari. Ma per far tornare poi tutto come prima.

lunedì 10 settembre 2007

Fusse che fusse...

Insomma, entro fine anno dovrei laurearmi. Gli esami, tantissimi, ormai li ho fatti tutti. Se non ho perso il conto, con quello fatto a gennaio di quest'anno, l'ultimo, sono arrivato a quota 56.
La tesi, anche, è a buon punto. Dovrei farcela. Sì, ce la posso fare. Ma ora viene la parte più difficile: la segreteria de La Sapienza.
Speriamo bene, nel dubbio io resto un giorno in più a Roma, ché con tutte 'ste carte e cartuscelle non si sa mai.
Ci risentiamo giovedì.

Fusse che fusse...

Insomma, entro fine anno dovrei laurearmi. Gli esami, tantissimi, ormai li ho fatti tutti. Se non ho perso il conto, con quello fatto a gennaio di quest'anno, l'ultimo, sono arrivato a quota 56.
La tesi, anche, è a buon punto. Dovrei farcela. Sì, ce la posso fare. Ma ora viene la parte più difficile: la segreteria de La Sapienza.
Speriamo bene, nel dubbio io resto un giorno in più a Roma, ché con tutte 'ste carte e cartuscelle non si sa mai.
Ci risentiamo giovedì.

domenica 9 settembre 2007

Postpessimista

Quando esco per Napoli e torno a casa, la sera, mi sento sporco.
Sporco di tanta inciviltà, tanta mediocrità, tanta volgarità tanta indecenza. Sporco di una città senza speranza, dalla quale è necessario scappare per non affogare nella melma che ne riempie le fondamenta.
E pensare che stasera sono stato bene, ho incontrato due amici che non vedevo da tempo, con cui ho condiviso tanto in passato e tanto vorrò condividere in futuro.
Ma a casa mi sentivo comunque sporco. Imbrattato da un dialetto volgare che non sento mio, annerito dal fumo di migliaia di motorini senza casco, sudato a causa di una tensione accumulata per lo stretto contatto con un popolo e una gioventù che non m'appartiene.
Bel post pessimista. Antò, non ti va mai bene niente. Sei qualunquista, retorico e generalizzi.
Non lo so, io mi sono rotto. Ma il limite è ormai superato.
Mi sento sporco. Ho provato a lavare bene le mani e il viso. Col sapone, più e più volte. Non è servito a nulla.

Postpessimista

Quando esco per Napoli e torno a casa, la sera, mi sento sporco.
Sporco di tanta inciviltà, tanta mediocrità, tanta volgarità tanta indecenza. Sporco di una città senza speranza, dalla quale è necessario scappare per non affogare nella melma che ne riempie le fondamenta.
E pensare che stasera sono stato bene, ho incontrato due amici che non vedevo da tempo, con cui ho condiviso tanto in passato e tanto vorrò condividere in futuro.
Ma a casa mi sentivo comunque sporco. Imbrattato da un dialetto volgare che non sento mio, annerito dal fumo di migliaia di motorini senza casco, sudato a causa di una tensione accumulata per lo stretto contatto con un popolo e una gioventù che non m'appartiene.
Bel post pessimista. Antò, non ti va mai bene niente. Sei qualunquista, retorico e generalizzi.
Non lo so, io mi sono rotto. Ma il limite è ormai superato.
Mi sento sporco. Ho provato a lavare bene le mani e il viso. Col sapone, più e più volte. Non è servito a nulla.

Riflessione post-partita

Ma con una nazionale di vecchiacci acciaccati - Inzaghi e Del Piero in attacco. Inzaghi e Del Piero? - cosa speravamo di fare?
P.S. Al 18' del secondo tempo mi sono addormentato. Sul serio, e svegliato pochi minuti fa.

(Gazzetta)

Riflessione post-partita

Ma con una nazionale di vecchiacci acciaccati - Inzaghi e Del Piero in attacco. Inzaghi e Del Piero? - cosa speravamo di fare?
P.S. Al 18' del secondo tempo mi sono addormentato. Sul serio, e svegliato pochi minuti fa.

(Gazzetta)

sabato 8 settembre 2007

La banda dei brocchi, di Jonathan Coe


La Banda
dei brocchi Jonathan Coe è un libro solo, ma è come se ne contenesse due.
In uno il narratore inglese, classe 1961, racconta la storia di un gruppo di ragazzini, alunni di una delle migliori scuole di Birmingham. Lois, Benjamin e Paul Trotter, ma anche Bill Anderton, Sean Harding, Philip Chase, Emily Sandys, Claire Newman e Steve Richards. Tutti adolescenti, tutti figli della varia umanità che compone l’Inghilterra dei Seventies, che ascolta progressive, punk, fonda gruppi dai nomi improbabili, si ubriaca e si innamora senza pensarci due volte.
Nell’altro libro, invece, ci descrive la situazione politica e culturale dell’Inghilterra degli anni Settanta. L’intera vicenda, infatti, è ambientata dal 1973 al 1979, un periodo di enormi stravolgimenti e mutamenti nella società inglese, che vede come principali protagonisti operai sottopagati, sindacalisti, giornalisti, uomini comuni alle prese con le lotte sindacali e gli attentati dell’IRA.
Questi due libri, sono intrecciati con equilibrio e riescono a creare uno splendido affresco di quegli anni. Ma soprattutto, un libro coinvolgente e appassionante, con una storia che si specchia negli occhi di quei ragazzini e finisce per abbracciare i temi più classici del romanzo di formazione: la crescita, l’amore, il dolore, la morte.
Anche la storia che racconta Coe, non è unica. Infatti, l’autore è bravissimo ad orchestrare e tenere unite le fila di numerosi personaggi che popolano il suo romanzo. Coe è come se li seguisse, questi ragazzetti tra la pubertà e l’età adulta: è come se fosse un loro compagno di banco, nella scuola di Birmingham, e vedesse il formarsi e disfarsi delle loro storie d’amore, di coraggio, i dispiaceri, le ansie, le gioie e le paure della loro adolescenza.
La banda dei brocchi è un libro divertente, appassionante, ironico e coinvolgente: la storia di Benjamin e Paul Trotter, di Philip Chase, di Doug Anderton e Sean Harding sé in realtà è la storia di tutta l’Inghilterra di quel periodo storico. 
E Coe è un autore colto, che ben conosce il passato e il presente della sua terra, e sa elegantemente inserirlo come sfondo del suo romanzo: non è avventato inserire Coe tra i più brillanti narratori contemporanei, e in questo libro raggiunge la piena maturità narrativa.
La banda dei brocchi, probabilmente, è il libro più bello che ho letto quest’anno. Il seguito è  “Il circolo chiuso” (2005), ma non è allo stesso livello.

La banda dei brocchi, di Jonathan Coe


La Banda
dei brocchi Jonathan Coe è un libro solo, ma è come se ne contenesse due.
In uno il narratore inglese, classe 1961, racconta la storia di un gruppo di ragazzini, alunni di una delle migliori scuole di Birmingham. Lois, Benjamin e Paul Trotter, ma anche Bill Anderton, Sean Harding, Philip Chase, Emily Sandys, Claire Newman e Steve Richards. Tutti adolescenti, tutti figli della varia umanità che compone l’Inghilterra dei Seventies, che ascolta progressive, punk, fonda gruppi dai nomi improbabili, si ubriaca e si innamora senza pensarci due volte.
Nell’altro libro, invece, ci descrive la situazione politica e culturale dell’Inghilterra degli anni Settanta. L’intera vicenda, infatti, è ambientata dal 1973 al 1979, un periodo di enormi stravolgimenti e mutamenti nella società inglese, che vede come principali protagonisti operai sottopagati, sindacalisti, giornalisti, uomini comuni alle prese con le lotte sindacali e gli attentati dell’IRA.
Questi due libri, sono intrecciati con equilibrio e riescono a creare uno splendido affresco di quegli anni. Ma soprattutto, un libro coinvolgente e appassionante, con una storia che si specchia negli occhi di quei ragazzini e finisce per abbracciare i temi più classici del romanzo di formazione: la crescita, l’amore, il dolore, la morte.
Anche la storia che racconta Coe, non è unica. Infatti, l’autore è bravissimo ad orchestrare e tenere unite le fila di numerosi personaggi che popolano il suo romanzo. Coe è come se li seguisse, questi ragazzetti tra la pubertà e l’età adulta: è come se fosse un loro compagno di banco, nella scuola di Birmingham, e vedesse il formarsi e disfarsi delle loro storie d’amore, di coraggio, i dispiaceri, le ansie, le gioie e le paure della loro adolescenza.
La banda dei brocchi è un libro divertente, appassionante, ironico e coinvolgente: la storia di Benjamin e Paul Trotter, di Philip Chase, di Doug Anderton e Sean Harding sé in realtà è la storia di tutta l’Inghilterra di quel periodo storico. 
E Coe è un autore colto, che ben conosce il passato e il presente della sua terra, e sa elegantemente inserirlo come sfondo del suo romanzo: non è avventato inserire Coe tra i più brillanti narratori contemporanei, e in questo libro raggiunge la piena maturità narrativa.
La banda dei brocchi, probabilmente, è il libro più bello che ho letto quest’anno. Il seguito è  “Il circolo chiuso” (2005), ma non è allo stesso livello.

giovedì 6 settembre 2007

Qui c'è gente che deve studiare

Giochi on line e aerei di carta. In mezzo, una tesi da scrivere.
Chi mi libera da questa droga?
Ah, la colpa è di Iaco99.

(Flightsimx)

Qui c'è gente che deve studiare

Giochi on line e aerei di carta. In mezzo, una tesi da scrivere.
Chi mi libera da questa droga?
Ah, la colpa è di Iaco99.

(Flightsimx)

mercoledì 5 settembre 2007

“Esiste Dio? Non lo so, spero di sì, ma credo di no”



Molto sfizioso il libricino che sto leggendo tra una pausa e l’altra della tesi – quindi quasi mai – “Corso accelerato di ateismo”, scritto da Antonio López Campillo e Juan Ignacio Ferreras per Castelvecchi. due professori spagnoli, un fisico e un filosofo.

Un piccolo volume – a stento 80 pagine – per confrontarsi con tranquillità con la propria fede/non fede e quella degli altri. O meglio, per pensare criticamente all’idea di un Dio, cercando di mettere da parte l’irrazionalità della parola religiosa per far spazio al dubbio sull’esistenza o meno di un qualcuno che muova i fili dall’alto.
E quindi, è davvero stimolante immergersi nelle brevi lezioni nelle quali viene spiegato – con humor e spirito critico – perché credere non è per forza sbagliato, ma anche non farlo mica è un problema. Basta ragionarci su, insomma, ed essere sempre pronti al dialogo. Perché essere atei non è un peccato, ma non significa soltanto dire: “non credo in nessun dio”.
O meglio, liberissimi di fare anche così: ma essere anche bravi ad argomentare i propri scetticismi religiosi d’ogni tipo non può fare certo male.

In più, questo testo offre anche degli “esercizi pratici di conversazione”, con cui confrontarsi e dialogare con logica con chi crede in qualche divinità, ed ha fede in Dio, Budda, Allah, Quelo o il genio della lampada.
E allora, credo che i 6 euro per questo libretto siano davvero ben spesi, e la lettura sia particolarmente interessante.
Senza paraocchi religiosi di alcun tipo, che ci crediate oppure no.

(Castelvecchi)


 

“Esiste Dio? Non lo so, spero di sì, ma credo di no”



Molto sfizioso il libricino che sto leggendo tra una pausa e l’altra della tesi – quindi quasi mai – “Corso accelerato di ateismo”, scritto da Antonio López Campillo e Juan Ignacio Ferreras per Castelvecchi. due professori spagnoli, un fisico e un filosofo.

Un piccolo volume – a stento 80 pagine – per confrontarsi con tranquillità con la propria fede/non fede e quella degli altri. O meglio, per pensare criticamente all’idea di un Dio, cercando di mettere da parte l’irrazionalità della parola religiosa per far spazio al dubbio sull’esistenza o meno di un qualcuno che muova i fili dall’alto.
E quindi, è davvero stimolante immergersi nelle brevi lezioni nelle quali viene spiegato – con humor e spirito critico – perché credere non è per forza sbagliato, ma anche non farlo mica è un problema. Basta ragionarci su, insomma, ed essere sempre pronti al dialogo. Perché essere atei non è un peccato, ma non significa soltanto dire: “non credo in nessun dio”.
O meglio, liberissimi di fare anche così: ma essere anche bravi ad argomentare i propri scetticismi religiosi d’ogni tipo non può fare certo male.

In più, questo testo offre anche degli “esercizi pratici di conversazione”, con cui confrontarsi e dialogare con logica con chi crede in qualche divinità, ed ha fede in Dio, Budda, Allah, Quelo o il genio della lampada.
E allora, credo che i 6 euro per questo libretto siano davvero ben spesi, e la lettura sia particolarmente interessante.
Senza paraocchi religiosi di alcun tipo, che ci crediate oppure no.

(Castelvecchi)