Io li vedo disseminati ovunque, ormai. E mi inquietano sempre di più.
Sono molesti, scostumati, irritanti, soprattutto troppi: sono i cafoni, ovviamente.
Per il De Mauro cafone è soprattutto “chi è rozzo e ignorante; maleducato, villano”.
Nella realtà di Napoli, ad essere sinceri, molto ma molto di più.
Li vedi in due sul motorino ovviamente senza casco cercare di abbordare qualsiasi cosa di sesso femminile respiri e cammini per le strade della città.
Le frasi usate, che si alternano a versi quasi incomprensibili e grugniti, sono solitamente: “Bella, ti posso conoscere?” (domanda che attira automaticamente la più ovvia delle risposte, NO); oppure: “Ti hanno mai detto che sei bellissima?” (per la serie evviva l’originalità), quando son poeti osano: “Tuo padre è un ladro: ha rubato due stelle dal cielo e te le ha messe al posto degli occhi”, altre volte son sognatori: “Ma cosa devo fare per vederti di nuovo: ti devo sognare?”.
Ma i cafoni non sono certo solo questo.
Sono quelli che hanno capelli phonatissimi e ciuffi contro la legge della gravità, tatuaggi maori un po’ dovunque o, nei casi peggiori, Che Guevara sul polpaccio (perché ce l’ha anche Maradona).
I cafoni sono quelli che alle 3 di notte girano per la città con uno stereo spaccatimpani che strilla lagne neomelodiche. E sanno a memoria tutte le canzoni sui carcerati e i latitanti dell’ultimo scemo che canta (una parola grossa) sulle tv private campane.
O li vedi girare in branco e ridere scompostamente, darsi pacche sulle spalle e prendere in giro di tanto in tanto qualche poveretto. Quando si muovono gesticolano. Troppo.
Li senti spesso canticchiare, soprattutto in gruppo, il nuovo inno dell’Italia, il poporoppopopo, in qualsiasi occasione. Basta che siano più di tre e ci sia un minimo di contesto euforico.
Basta un secondo, e qualsiasi motivetto o gridolino sotto la doccia, si può trasformare in quel ritornello fatto di sillabe senza senso (qualcuno di loro penserà sia inglese, forse).
O ancora li vedi piccoli, nelle macchine 50 di cilindrata, pavoneggiarsi e guidare al centro della carreggiata. In quei casi vorresti soltanto una di quelle macchine dalle ruote enormi con la quale passargli sopra più e più volte.
Se hanno più di diciott’anni, e la patente – magari comprata – da qualche mese, è obbligatoria la sgommata al semaforo e la curva spericolata con il freno a mano.
Poi hanno maglie rosa con scritte inglesi che non significano nulla, e che ovviamente non sanno leggere.
E jeans col cavallo sotto i piedi, cellulari ultimo modello con suonerie neomelodiche, una camminata a metà tra il bullo, il palestrato e il calciatore fallito, quando hanno i capelli lunghi li oliano come una porta cigolante e si sentono fighi.
Sono spesso nelle sale da biliardo, in quelle di scommesse sportive, quando vanno allo stadio è soprattutto per inveire contro l'ospite e cercare la rissa.
Non rispettano una, ma una sola fila alla posta o da qualsiasi altra parte, cercano sempre scuse o vie clientelari per ottenere qualcosa un po’ dovunque, sono di un’ignoranza mostruosa e vorresti non aprissero bocca mai.
Aiuto, se solo ci penso mi vengono i brividi.
Sia se penso ai cafoni che al mio post, un po’ razzista, ma quando ci vuole ci vuole.
Devo scappare da questa città, al più presto.