sabato 6 agosto 2011

La mia sulla decrescita felice

Molto interessante il dibattito sulla "decrescita felice" che negli ultimi mesi si è sviluppato sui quotidiani e online. Un sacco di editori e addetti ai lavori pronti a scrivere, a proporre, a confrontarsi. Bello, ammirevole. Necessario.
"Pubblicare meno, pubblicare meglio".  "Deontologia ed etica". "Ricerca della qualità". "Educare i lettori". "Libro come bene pubblico, come l'acqua" (come l'acqua?). "Salviamo gli editori di qualità" (ma chi decide cos'è la qualità, chi decide quali libri bisogna leggere, quis custodiet ipsos custodes?) 
Però non so, come dire, mi fermo a riflettere sul proliferare dei corsi di editoria che costano un occhio della testa e sfornano quasi sempre disoccupati, a pensare ai minicorsi di due giorni di editing al lago o in montagna a soli 670 euro, a tutti i precari dell'editoria là fuori, non pagati e perennemente sfruttati, a quelli che dicono di aver abbracciato l'idea della decrescita felice quando poi pubblicano il 5 % in meno dei libri rispetto allo scorso anno, o escono con libri che sfruttano il nome di scrittori da bestseller, o inondando le librerie con volumetti di barzellette, o con l'ennesima traduzione di un libro fuori diritti di cui non sentivamo davvero la mancanza.
E allora mi sembrano tutti dei discorsi un po' paraculo.

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