venerdì 14 dicembre 2007

Il Gioco preferito, di Leonard Cohen



Il Gioco preferito di Leonard Cohen è un romanzo di ricordi, innanzitutto. E di esperienze.

Poi, è un inno alla giovinezza, all’amore, al sesso e alle donne.
E’ un libro che sembra una canzone, così come le sue canzoni, spesso, sembrano provenire da poesie o romanzi.
Un libro che parte quasi a bassa voce, per poi diventare quasi un grido all’amore impossibile, o all’impossibilità di trovare l’amore.
Il giovane canadese Lawrence Breavman, nato a Montreal, è senza dubbio l’alter ego di Cohen, amante delle donne e delle belle lettere. Ebreo, innamorato della scrittura, desideroso d’arte, affamato di lettere e di cultura.
Ma è anche un giovane disadattato, triste e confuso nel passaggio dall’adolescenza alla maturità.
Negli anni che lo separano dal diventare uomo, Breavman-Cohen crescerà con l’amico Krantz, perderà il padre, si separerà dalla madre.
Andrà a vivere a New York, coltivando varie esperienze e la sua, prorompente e innata, passione per la scrittura.
Poesie, schizzi, frammenti, idee. Versi per le donne, incontrate, conosciute, amate. Rime per i corpi femminili, accarezzati, annusati, posseduti.
Baci rubati, baci dati con passione. Notti e giorni intere trascorse in un letto in una stanza umida, che grazie all’amore può sembrare una reggia.
E così la sua vita, le vicende che segnano il suo ingresso nel mondo dei grandi, sono quasi una serie di piccoli racconti, tutti dotati di senso anche da soli: il suo rapporto con la madre, le riflessioni sull’ebraismo, la passione per l’ipnosi e i suoi “usi poco ortodossi”, la scoperta del sesso e dell’amore, l’incontro con Shell, suo unico amore. la passione per le altre donne, la vita a New York, il campeggio con Krantz, l’incontro con la morte, sono tutti episodi che è possibile separare ed apprezzare ugualmente.
Il libro uscì in America nel 1964 e in Italia nel 1975 per Longanesi, e consacrò Cohen come uno dei più promettenti scrittori canadesi. Era il suo esordio letterario (a parte precedenti libri di poesie), dopo il quale virò prepotentemente verso la musica, trasferendo la sua poetica e la sua visione del mondo all’interno delle canzoni, a partire dal 1967.
Il libro ha comunque molti richiami alla musica e alle canzoni, disseminate qua e là tra le pagine. Ed è come se le varie sequenze – quasi filmiche - che Cohen crea con le parole, siano spesso corredate da un sottofondo musicale. Alle volte jazz, qualche altra blues.
Un romanzo musicale, questo di Cohen, che fa della parola colta e ricercata una delle sue principali caratteristiche.
Un romanzo carico di amarezza, nostalgia e – perché no – un’ironia inaspettata che si coglie solo ad un livello più approfondito di lettura.
Un romanzo d’esordio che quasi si perde nella sterminata produzione poetica e musicale dell’artista canadese, ma che sorprende per la maturità di scrittura – Cohen lo scrive a ventott’anni – e l’eleganza stilistica.

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