lunedì 20 agosto 2007

Tre anni, Enzo



Tre anni fa, il 20 agosto, era di venerdì.
Quel giorno, alle porte di Baghdad, un convoglio della Croce Rossa Italiana, che aveva appena portato aiuti umani e soccorsi alla popolazione di Najaf, una città devastata dalla guerra,  subì un attentato.
Ci fu un’esplosione, una grande nuvola di polvere, odore di polvere da sparo.
Fu colpita una Nissan Bianca, che apriva il convoglio, e che finì fuori strada a causa della potenza esplosiva dell’ordigno.
Su quella automobile si trovava Enzo G. Baldoni, in compagnia del suo autista e interprete, Ghareeb. Quest’ultimo, fu ammazzato sul posto, in maniera barbara.
Di Enzo, sequestrato dall'Esercito Islamico dell'Iraq - banda di predoni senza scrupoli - non si seppe nulla di certo fino al 24, giorno in cui un video amatoriale recapitato ad Al Jazeera lo mostrò in vita, quasi sorridente, mentre chiedeva al governo Berlusconi di “ritirare le truppe italiane”.
Allo scadere dell’ultimatum, la sera del 26 agosto, Enzo Baldoni fu ucciso.
Non voglio fare polemiche. Non voglio parlare né della campagna denigratoria di Libero, il quotidiano di Vittorio Feltri, che definì Baldoni un simpatico pirlacchione, un pacifista col kalashnikov, un giornalista  sprovveduto in cerca di vacanze da brivido. Non mi va.
Non voglio neanche riflettere sul comportamento ambiguo della Cri e di Maurizio Scelli, commissario straordinario, che hanno preso le distanze da Enzo, non hanno attivato i giusti canali, non hanno fatto tutto quello che potevano fare.
Non voglio parlare nemmeno dell'inadeguatezza del Governo, dell’allora ministro degli Esteri Frattini, di Silvio Berlusconi. Non mi voglio intossicare.
Voglio solo dire che sono passati 3 anni dalla morte di Enzo Baldoni, ed il suo corpo non è ancora tornato a casa.
Chi può fare qualcosa, lo faccia. Perché ogni volta che leggo le sue “Disposizioni per un saluto”, prima sorrido, poi mi viene da piangere:


Stamattina sono stato a un funerale. La cerimonia è andata via liscia e incolore finché alla fine il prete ha detto: «Ora il figlio vuole dire qualche parola». Il figlio, in dieci minuti, ha tratteggiato un ritratto vivo, affettuoso e vivace del padre. Un ritratto senza sbavature, né esagerazioni, né cedimenti al sentimentalismo. Ma quei dieci minuti hanno avuto più calore, colore e spessore di tutto il resto della cerimonia. Il papà era ancora lì tra noi, vivo, e questo sarà il ricordo che ne manterremo.
Ordunque, trascurando il fatto che io sono certamente immortale, se per qualche errore del Creatore prima o poi dovesse succedere anche a me di morire – evento verso cui serbo la più tranquilla e sorridente delle disposizioni – ecco le mie istruzioni per l’uso.
La mia bara posata a terra, in un ambiente possibilmente laico, ma va bene anche una chiesa, chi se ne frega. Potrebbe anche essere la Casa delle Balene, se ci sarà già o ci sarà ancora. L’ora? Tardo pomeriggio, verso l’ora dell’aperitivo.
Se non sarà stato possibile recuperare il cadavere perché magari sono sparito in mare (non è una cattiva morte, ci sono stato vicino: ti prende una gran serenità) in uno dei miei viaggi, andrà bene la sedia dove lavoro col mio ritratto sopra.
Verrà data comunicazione, naturalmente per posta elettronica, alla lista EnzoB e a tutte le altre mailing list che avrò all’epoca. Si farà anche un annuncio sui miei blog e su qualsiasi altra diavoleria elettronica verrà inventata nei prossimi cent’anni.
Vorrei che tutti fossero vestiti con abiti allegri e colorati. Vorrei che, per non più di trenta minuti complessivi, mia moglie, i miei figli, i miei fratelli e miei amici più stretti tracciassero un breve ritratto del caro estinto, coi mezzi che credono: lettera, ricordo, audiovisivo, canzone, poesia, satira, epigramma, haiku. Ci saranno alcune parole tabù che assolutamente non dovranno essere pronunciate: dolore, perdita, vuoto incolmabile, padre affettuoso, sposo esemplare, valle di lacrime, non lo dimenticheremo mai, inconsolabile, il mondo è un po’ più freddo, sono sempre i migliori che se ne vanno e poi tutti gli eufemismi come si è spento, è scomparso, ci ha lasciati.
Il ritratto migliore sarà quello che strapperà più risate fra il pubblico. Quindi dateci dentro e non risparmiatemi. Tanto non avrete mai veramente idea di tutto quello che ho combinato.
Poi una tenda si scosterà e apparirà un buffet con vino, panini e paninetti, tartine, dolci, pasta al forno, risotti, birra, salsicce e tutto quel che volete. Vorrei l’orchestra degli Unza, gli zingari di Milano, che cominci a suonare musiche allegre, violini e sax e fisarmoniche. Non mi dispiacerebbe se la gente si mettesse a ballare. Voglio che ognuno versi una goccia di vino sulla bara, checcazzo, mica tutto a voi, in fondo sono io che pago, datene un po’ anche a me.
Voglio che si rida – avete notato? Ai funerali si finisce sempre per ridere: è naturale, la vita prende il sopravvento sulla morte – . E si fumi tranquillamente tutto ciò che si vuole. Non mi dispiacerebbe se nascessero nuovi amori. Una sveltina su un soppalco defilato non la considererei un’offesa alla morte, bensì un’offerta alla vita.
Verso le otto o le nove, senza tante cerimonie, la mia bara venga portata via in punta di piedi e avviata al crematorio, mentre la musica e la festa continueranno fino a notte inoltrata. Le mie ceneri in mare, direi. Ma fate voi, cazzo mi frega.

("Il mio funerale", di Enzo Baldoni, è tratto da www.diario.it)

2 commenti:

  1. me lo ricordo come un giorno tristissimo
    e pieno di vergogna per tutto lo spettacolo osceno intorno (che bello essere italiani, eh?), nauseabondo
    grande enzo!
    ciao caro, grazie per essere passato
    a presto
    luca

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  2. Già. Prima si sorride e poi si piange.

    Marianna

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