venerdì 1 aprile 2005

Non pensavo potesse colpirmi così tanto. Non credevo di poter reagire in questo modo.

Proprio io, che quando la nonna a Sorrento inizia a fare la predica e citare la Bibbia rido e la prendo in giro. Io, che quando mamma mi chiede di andare in Chiesa con lei ho sempre altro da fare. E quando in Chiesa ci vado perchè il prete, durante la messa, ricorda e cita il nome di mia nonna - che da qualche anno non c'è più, lo faccio solo perchè sono costretto - e penso: ha un senso andarci? E poi penso che mia nonna sarebbe stata felice, e capisco che può essere un modo giusto per parlare con lei. Proprio io, che pensavo di avere ben poco a che fare con la Chiesa e con la religione, in generale, che in questo periodo sentivo lontane da me più che mai, mi sono ritrovato a piangere, come una fontana, davanti alle strazianti immagini dell'agonia del Papa.

Ho scoperto di non essere in grado di contenerle, quelle lacrime, e di non riuscire a sopportare quella vista, e non tollerare tutti i becchini e gli avvoltoi che lo commemoravano, i Bruno Vespa che ne parlavano con rispetto e commozione, dopo essersene fregati la sera prima ed aver continuato a mandare in onda le barzellette registrate del Premier; ho odiato con disprezzo tutti quei dispensatori di frasi fatte, di luoghi comuni, di inutili aneddoti sulla vita e sulla forza del Santo Padre.

Non so perchè. Ancora adesso non lo capisco. Ma desideravo soltanto osservare le sue gesta, il suo viso, bellissimo da giovane o contratto nella malattia, sullo schermo. E allo stesso tempo non ne sopportavo la vista, non riuscivo a capacitarmi della sua imminente morte.
Non riesco ancora a descriverla, quella sensazione di angoscia, quel groppo alla gola nell'apprendere della sua serenità anche ad un passo dalla morte, del suo rifiuto di ricoverarsi, nel vedere il portavoce così affranto e scosso. Sono scoppiato a piangere. Non che sia una novità: lo faccio spesso, fin troppe volte mi nascondo dietro una corazza di lacrime per non affrontare il mondo, e per fuggire dalle sue difficoltà.

Ma questa volta era diverso. Il mio era un pianto pesante, carico di tristezze e disperazione. Ho pianto per un uomo che mi sembrava invincibile, indistruttibile, che ho sempre considerato lontano da me, dalla mia vita, ma in ogni caso tra le persone migliori del mondo. I suoi sorrisi, i suoi viaggi, i suoi abbracci e le sue benedizioni, mi hanno sempre solo sfiorato da vicino, nella mia vita, senza mai toccarmi in pieno. Ho sempre visto di sfuggita la messa in tv, la domenica mattina, le sue letture dall'alto di Piazza San Pietro, le folle impazzite che gridavano il suo nome. L'ho sempre considerato, nel suo piccolo, una forma di fanatismo religioso. Ed ora non so cosa avrei dato per essere stato lì sotto, almeno una volta nella vita. Ho pianto tanto, perchè ho capito che era la fine.

Non so cosa mi è preso, ma è stato così. Ed ora, sono angosciato e affranto. Le lacrime ormai le ho asciugate, la crisi è passata, ma ora dopo ora mi sento un po' più vuoto, dentro.
Perchè il Papa è un uomo che ha modificato il modo di intendere la religione e di concepire il rapporto con i fedeli, e la sua apertura mentale ha rivoluzionato, a suo modo, il mondo. Ma è stato, soprattutto, un uomo buono, onesto e generoso, che ha segnato in positivo gli ultimi trent'anni di storia. E devo ammettere che la sua morte, senza dubbio, renderà il nostro mondo ancora più squallido e misero di quello che già è.
 

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