mercoledì 27 agosto 2014



Nessuno si è fatto mancare un parere sull'#IceBucketChallenge. Provo anche io a mettere insieme un po' di pensieri sull'iniziativa, che trovo eccezionale. Qualche giorno fa ho scritto da qualche parte in rete, forse esagerando, che la ritenevo la cosa più utile da quando sono nati i social network.

Esagerazioni a parte, credo si sia trattato di un successo sotto molteplici punti di vista: una campagna che ha unito una componente ludica, una componente emozionale e una di grande utilità sociale, e lo ha fatto con un gioco semplice, che fa ridere ed è tremendamente virale.
Ogni volta che si parla di #IceBucketChallenge, sia per criticare che per elogiare l'iniziativa, ed è questo a mio avviso uno dei punti maggiormente di forza del gioco, si aumenta la portata del messaggio e di conseguenza le donazioni.
Le chiacchiere sulla Littizzetto che ha donato poco, sulla ministra che non ha capito bene cosa fare, su Kledi polemico e gli #IceBucketChallenge Fail, Pinuccio che li prende in giro e invita a non sprecare acqua e a donare, fanno tutti parte di un meccanismo che non fa altro che alimentare la portata virale del messaggio. Non importa che se ne parli bene o male, l'importante è che se ne parli, insomma. Non importa se doni o meno, puoi anche fare solo la secchiate d'acqua gelida con ghiaccio, sarà in ogni caso servito a qualcosa.

E quel qualcosa è davvero tanto: i numeri sono enormi, sia quelli dei video che delle donazioni. Non scherziamo. Che ci siano vip e meno vip che vogliano trarne vantaggio e visibilità, credo sia normale, accettabile, criticabile, ma sostanzialmente poco interessante. Che ci sia una parte, piccola media o grande, che non abbia capito a cosa serve l'#IceBucketChallenge, non importa, perché tra i contatti sui social network di queste persone ce ne saranno altre che, dopo aver visto il video e averci ragionato su, ne usciranno più consapevoli. Sapranno una cosa che prima non sapevano e su cui non avevano ragionato, e magari un giorno faranno anche una donazione.

Le uniche cose che considero negative, ma che non spostano di una virgola la mia riflessione sul'#IceBucketChallenge, sono: l'enorme spreco di acqua e ghiaccio di queste ultime settimane, mentre c'è gente che ogni giorno perde la vita perché di acqua non ne ha; il fatto che, probabilmente, dopo questo botto estivo di popolarità si tornerà a parlare e riflettere sulla SLA soltanto quando ci saranno di nuovo persone famose – un Borgonovo, ad esempio – colpite dalla malattia; e l'invasione senza freni di video di secchiate sulle nostre bacheche che, sinceramente, dopo un po' finiscono per diventare ripetitivi e annoiare.


lunedì 25 agosto 2014



Quanto tempo è passato? Ho quasi perso il conto. C'è stato un tempo in cui ogni anno ti ricordavo, puntuale, nell'anniversario della tua morte. Scrivevo un post, mettevo online, inviavo ad amici, dicevo "non dimenticate". Negli ultimi anni ho smesso di farlo, anche perché questo blog viene aggiornato con minore frequenza. Ma io continuo a ricordare Enzo Baldoni e a citarlo, ogni volta che posso. Io non ho dimenticato. Perché uno come Enzo non dovrebbe mai essere dimenticato.
Enzo non l'ho conosciuto, ma ho scritto su di lui una tesi di laurea, ho letto tutti i suoi lavori, ho apprezzato il suo stile giornalistico e il suo coraggio, ho letto e riletto i suoi blog, e mi sono chiesto perché è finita così, cosa è successo, chi ha sbagliato quel maledetto 26 agosto di 10 anni fa.

10 anni. 10 anni che Enzo Baldoni è morto, in Iraq. Giochetti sporchi, questione di politici e governi incapaci, lui un po' incosciente, sì, ma anche sfortunato. E poteva essere salvato, sì. Doveva essere salvato.
E invece è morto in quel sonnacchioso fine agosto di 10 anni fa, nel silenzio generale e senza che nessuno sia riuscito a instaurare un dialogo coi suoi assassini, concordare un riscatto, provarci almeno. Con Libero che lo prendeva in giro e parlava delle sue vacanze intelligenti, e in vacanza invece erano tutti quelli che potevano far qualcosa e invece non hanno fatto. Indifferenti.

In queste settimane c'è stata un'altra morte, quella del giornalista Foley, e il ricordo è andato di nuovo a lui. Persone che vanno in guerra insieme ai soldati, per documentare la guerra. E che non fanno più ritorno. Lo fanno perché dentro sentono qualcosa, perché il fuoco che hanno dentro li spinge a rischiare, a spostare sempre più in là l'asticella per scrivere e documentare. Per farci arrivare delle notizie, farci capire come funzionano le guerre.

Foley è appena morto, Enzo G. Baldoni è morto 10 anni fa. Lasciano a noi che restiamo qui il ricordo delle loro gesta e del loro coraggio, le loro foto, gli scritti, un ideale di giornalismo diverso, d'altri tempi, in quest'epoca di copincolla da internet e di pressappochismo diffuso. 

Non posso fare altro Enzo, come ogni anno, che ricordare chi eri e quello che scrivevi, ricordare il tuo nome e quello che hai fatto. Locombia, Diario, le interviste impossibili, i blog, splinder e tutto il resto.
Una volta i tuoi articoli erano tutti online, l'anno scorso li ho ricercati ma non c'erano più. Come è triste e beffardo, l'internet. Per fortuna io li conservo ancora in pdf, e ogni tanto li leggo. Dovrebbero farlo tutti, secondo me, prima di iniziare una carriera nel giornalismo o nella pubblicità, o anche soltanto per conoscere le terre lontane e pericolose che tu raccontavi, senza stereotipi e con la penna e la mentalità di chi vuole davvero capire e spiegare agli altri cosa significa una guerra.


domenica 17 agosto 2014

E quindi - ritornando a casa

Quindi si ritorna a casa, si riacquistano le abitudini. Proprio quelle che stavi iniziando a perdere.
I primi giorni dormi un po' di più, una sorta di jet lag ritardato. Due mesi in giro per il mondo iniziano a pesare solo quando ti prendi una pausa e tiri i remi in barca. E inizi a pensare a quello che hai fatto.
Che hai fatto il giro del mondo e sei tornato. Hai conosciuto persone, parlato nuove lingue, mangiato cose nuove e diverse. Sei tornato più ricco. E ora riparti.
La sensazione è strana, bella e misteriosa allo stesso tempo. Un po' leggero e un po' apatico, fuori giri ma con i ricordi che iniziano a incasellarsi al posto giusto.
Tornare a casa dopo un viaggio simile è forse più difficile del viaggio stesso.
Tutto è uguale a prima, ma tu sei molto diverso.